Il giorno dopo la sconfitta contro la Nuova Igea Virtus, Reggio Calabria si è svegliata con un peso addosso. Non è solo la rabbia per una partita persa, né la delusione per una classifica che non decolla. È qualcosa di più profondo.
Questa Reggina — spenta, disunita, incapace di ritrovarsi — sembra lo specchio fedele di una città che si guarda allo specchio e fatica a riconoscersi.

Sui social, le parole dei tifosi raccontano meglio di qualunque analisi tattica il sentimento che serpeggia da settimane: un misto di amore, frustrazione e rassegnazione.


“Hanno avuto più fondo schiena che anima”

C’è chi, come Nino, resta legato alla speranza, anche in mezzo alle macerie:

“Hanno avuto più fondo schiena che anima. Mai arrendersi, risorgeremo. Sempre forza Reggina ❤️ 👑 💪.”

È la voce dell’amore incondizionato, di chi non smette di crederci. Ma è anche il segno di un tifo che vive di ricordi, di quel legame viscerale con la maglia amaranto che resiste nonostante tutto, anche quando il campo non restituisce nulla.


“Il Granillo non fa più paura”

Ben più amaro il commento di Francesco, che fotografa la perdita d’identità:

“Il Granillo è sempre stato definito un fortino da signori allenatori e da molti campioni. Oggi chiunque venga a RC si permette di fare muso duro con i nostri calciatori, di affrontarci a testa alta. Sembra che in casa giochino le squadre ospiti.”

E in effetti è così. Il Granillo, un tempo simbolo di forza e orgoglio, oggi è solo uno stadio come tanti.
Un luogo dove gli avversari vengono senza timore, dove non c’è più quella sensazione di rispetto e sudditanza che accompagnava la Reggina dei tempi d’oro.
È un dato tecnico, ma anche simbolico: quando perdi il senso di casa, perdi anche la tua anima.


“I responsabili dovrebbero dimettersi”

La lucidità dei numeri arriva dal commento di Antonio:

“Ad oggi questa squadra ha prodotto 11 punti in 10 partite. I responsabili di questo scempio dovrebbero dimettersi!!”

Un dato che racconta un fallimento evidente. Una squadra costruita per vincere, che invece naviga a vista, priva di idee e di ritmo.
Undici punti in dieci giornate: una media da metà classifica, ben lontana dalle ambizioni di promozione. Il problema non è solo tecnico, ma culturale: una Reggina che non riesce più a pensarsi grande.


“Vergognatevi, mercenari”

E poi c’è la rabbia pura, quella che non conosce filtri. Cosimo scrive:

“Vergognatevi, mercenari. Non ne vogliamo.”

È lo sfogo di chi si sente tradito, di chi ha dato tanto e ora non riconosce più la propria squadra. Una rabbia viscerale, amara, che non è contro un singolo giocatore ma contro un intero sistema che sembra aver smarrito il senso del dovere, del sacrificio, dell’appartenenza.


Un riflesso della città

Oggi la Reggina è molto più di una squadra in difficoltà. È lo specchio di una città che arranca, che prova a rialzarsi ma continua a inciampare.
Una città che vive di nostalgia — per il calcio, per la politica, per il suo stesso passato — e che fatica a costruire un presente all’altezza della sua storia.

Il dilettantismo in cui è sprofondata la Reggina non è solo sportivo. È il simbolo di una deriva più ampia, di un sistema che ha perso visione, ambizione e orgoglio.
E così, domenica dopo domenica, lo stadio diventa la metafora di Reggio Calabria stessa: una comunità stanca, che si aggrappa ai ricordi e alle speranze, ma che si scopre ogni volta più sola, più piccola, più fragile.


Non c’è rabbia che basti, né fede che basti a coprire la realtà: questa Reggina è il ritratto fedele di ciò che siamo diventati.
Un tempo eravamo la città che faceva tremare gli stadi di Serie A.
Oggi siamo solo un’eco di quella gloria.
E mentre i tifosi continuano a gridare “Forza Reggina”, la sensazione amara è che a forza di guardare indietro, ci siamo dimenticati come si va avanti.

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