La Reggina perde ancora e lo fa nel modo peggiore: senza gioco, senza mordente, senza anima.
Contro la capolista Nuova Igea Virtus, la squadra amaranto si arrende a un avversario più convinto dei propri mezzi, incassando una sconfitta che pesa come un macigno e che riporta Torrisi alla dura realtà: la sua Reggina, oggi, è una squadra in costruzione solo sulla carta, ma smarrita nella sostanza.
Il gol di Cicirello al 61’ nasce da un regalo di Lagonigro, ma è il simbolo di una fragilità collettiva che va ben oltre l’errore individuale.
È la fotografia di un gruppo che non riesce a reggere la tensione, che si scioglie appena l’inerzia della partita cambia direzione.
Un 4-3-3 che resta un disegno vuoto
Torrisi sceglie ancora il 4-3-3, ma in campo si vede tutt’altro: reparti distanti, centrocampo statico, esterni isolati.
L’impostazione dal basso è lenta e prevedibile, con Girasole e Adejo costretti spesso al lancio lungo per mancanza di soluzioni.
Porcino e Laaribi non riescono mai a dare ritmo o verticalità, mentre Mungo si perde tra linee e giocate inutili.
Il risultato è un possesso sterile, che non buca mai il blocco medio-alto della Nuova Igea Virtus.
Gli esterni offensivi, Grillo e Di Grazia, vengono lasciati soli a inventare qualcosa, ma senza appoggi né movimenti a supporto: Montalto, pur generoso, finisce intrappolato tra i centrali avversari, costretto a lottare su palloni sporchi e a inseguire ombre.
La Reggina non verticalizza, non crea linee di passaggio, non costruisce nulla di realmente pericoloso.
È una squadra che gioca in orizzontale, sempre un passaggio in più, sempre un tempo in ritardo.
Il secondo tempo della resa
Il primo tempo, pur equilibrato, aveva almeno mostrato una certa aggressività iniziale.
Ma nella ripresa è calato definitivamente il sipario: ritmo basso, idee nulle, manovra impantanata.
Al 61’ Lagonigro regala un pallone a Cicirello, che ringrazia e punisce. Da lì in poi, il vuoto.
Torrisi prova a scuotere i suoi con i cambi — dentro Salandria, Barillà, Edera e infine Pellicanò — ma l’effetto è contrario: la squadra si scompone ulteriormente, perde equilibrio e diventa preda facile del pressing avversario.
Il passaggio al 4-2-4 finale è la resa tattica di una squadra che non sa più a cosa aggrapparsi.
Non c’è reazione, non c’è rabbia, non c’è gioco.
Solo nervosismo e palloni buttati avanti.
La Nuova Igea Virtus, senza strafare, controlla, gestisce e sfiora persino il raddoppio, graziando una Reggina in totale confusione.
Squadra lunga, centrocampo molle, attacco isolato
I numeri e le immagini coincidono: questa Reggina non è corta, non è intensa, non è lucida.
I reparti sono scollegati — la difesa arretra, il centrocampo non filtra, l’attacco resta orfano di rifornimenti.
Ogni ripartenza è un rischio, ogni giocata è un’improvvisazione.
Le distanze tra i reparti rendono impossibile costruire azioni credibili.
Non c’è mai un inserimento, mai un taglio, mai un fraseggio negli ultimi trenta metri.
Montalto resta troppo solo, Grillo si spegne dopo un buon avvio, Di Grazia non incide.
È la fotografia di una squadra che non ha ancora un’identità, che non sa se attaccare o difendere, se pressare o aspettare.
E nel dubbio, finisce per non fare nulla.
Responsabilità e limiti
Torrisi ha preso in mano un gruppo psicologicamente fragile e tatticamente disordinato, ma la sensazione è che le scelte di oggi non abbiano aiutato.
Cambi inefficaci, idee confuse e una gestione della partita troppo passiva.
Il 4-3-3 resta una formula solo teorica: senza movimenti, senza un regista vero, senza automatismi, diventa una gabbia.
La Reggina continua a vivere di fiammate, ma manca di un filo conduttore.
E soprattutto, manca di fame: quella che la Nuova Igea Virtus, più modesta nei nomi, ha mostrato in ogni duello.






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