Dai pomeriggi da fabbro ai gol in amaranto: storia di un attaccante che Reggio non ha dimenticato

Il 24 giugno 2025, Emiliano Bonazzoli ha aperto il libro dei ricordi in una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport. Un racconto sincero, fatto di sacrifici, traguardi, momenti difficili e legami profondi. Tra questi, uno ha un posto d’onore: quello con la Reggina.

Da fabbro a professionista: quando il calcio era ancora un sogno

A 14 anni Bonazzoli faceva il fabbro. Non un hobby: un vero lavoro, per aiutare la famiglia e potersi allenare. La mattina a scuola (quando riusciva ad andarci), il pomeriggio in officina, poi di corsa sul campo delle giovanili del Brescia. Una routine massacrante, ma che lui racconta oggi con fierezza: “È stata la mia palestra di vita.”

Quel percorso di sudore lo porterà in Serie A, alla Samp, al Parma, fino a indossare la maglia della Nazionale. Ma è con la maglia amaranto che ha scritto alcune delle pagine più intense della sua carriera.

Reggina: “Anni magnifici”

“Anni magnifici”, li ha definiti lui stesso. E non è solo un aggettivo: è la sintesi di un rapporto profondo, costruito nel tempo con i compagni, con la città, con un popolo. Dal 2003 al 2009 (con una parentesi a Parma), Bonazzoli è stato uno dei volti simbolo della Reggina in Serie A. Un attaccante moderno, fisico, tecnico, intelligente nei movimenti. Ma soprattutto, uno che ha sempre dato tutto.

In maglia amaranto ha collezionato 181 presenze e segnato 45 gol ufficiali. Ma non sono i numeri a spiegare davvero il suo impatto: è il modo in cui ne parla, ancora oggi, a distanza di anni.

Tra tutti i ricordi, uno spicca sopra gli altri: il gol alla Lazio. “Il più bello che abbia mai segnato,” dice senza esitazioni. Un tiro al volo da posizione impossibile, simile – per coordinazione, coraggio e bellezza – a quello leggendario di Marco van Basten contro la l’Unione Sovietica a Euro ‘88. Un gesto tecnico purissimo, istintivo, potente. Un gol che è rimasto scolpito nella memoria dei tifosi amaranto.

Ma la bellezza di quell’esperienza non si limita ai singoli momenti. Bonazzoli racconta di un gruppo affiatato, di un ambiente caldo ma rispettoso, di una città dove il calcio si vive con il cuore. “A Reggio ho lasciato una parte di me,” si capisce tra le righe. Non serve che lo dica apertamente: è evidente.

Il crociato e l’occasione mondiale sfumata

Nel 2006, Bonazzoli è nel suo momento migliore. Sta segnando, gioca bene, viene convocato in Nazionale. Ma proprio allora, arriva il crack: rottura del legamento crociato. Un infortunio che gli toglie la possibilità di sognare in grande, di giocarsi le sue carte per un posto al Mondiale. “Mi ha tolto una parte importante della mia carriera,” ammette.

Eppure, anche da quel dolore Bonazzoli è ripartito. Come sempre ha fatto nella vita.

Oggi allenatore, in attesa del progetto giusto

Ora è allenatore. Ha allenato in Serie D e in Serie C, vive il calcio da una prospettiva nuova, ma con la stessa passione. Nell’intervista non lancia messaggi o proclami, ma si capisce che la voglia di tornare in panchina c’è. “Aspetto un progetto che mi stimoli,” dice.

La Reggina non viene mai nominata come possibile destinazione, ma per chi conosce la sua storia, l’idea affascina. Non come nostalgia, ma come possibilità di costruire, restituire, guidare.

Un legame che non si spezza

Non tutti i calciatori lasciano un segno. Non tutti diventano simboli. Emiliano Bonazzoli, alla Reggina, c’è riuscito. Con i gol, certo. Ma soprattutto con l’anima. E oggi, che la Reggina lotta per ricostruire la propria identità tra i dilettanti e le speranze di risalita, le sue parole suonano come un abbraccio alla città.

Il calcio passa, il tempo pure. Ma certi legami, semplicemente, restano.

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