In Italia, le serie minori sono diventate il laboratorio di un nuovo tipo di business sportivo: un intreccio di bilanci in rosso, patti segreti e operazioni notarili che nulla hanno a che fare con il valore del talento o l’emozione di una vittoria sul campo.

Queste categorie, un tempo fucine di campioni e trampolini per club più grandi, oggi sono il palcoscenico di un meccanismo burocratico che svuota ogni aspetto umano dello sport.

Ogni estate, lo scenario si ripete: società storiche in difficoltà economica vengono “salvate” da matricole emergenti, pronte a scambiare il proprio titolo sportivo con quello in crisi. Dietro ciascuna manovra c’è un esercito di professionisti, avvocati e commercialisti, impegnati a confezionare piani di ripartenza che assomigliano più a operazioni finanziarie che a progetti calcistici. Alla base di tutto, non c’è la passione per lo sport, ma la necessità di aggirare meccanismi federali, sanzioni e ostacoli legati al debito.

Questo sistema si regge sul paradosso: mentre i tifosi credono di vedere rinascite epiche, le loro squadre in realtà cambiano identità in un colpo solo, perdendo il senso di appartenenza e tradimento della storia alle spalle.

Brescia-Feralpisalò

Il caso Brescia rappresenta un esempio lampante delle sfide economiche che possono travolgere perfino realtà consolidate. Dopo la retrocessione in Serie C, il club si è trovato a fronteggiare debiti ingenti che lo hanno portato a una paralisi finanziaria e all’impossibilità di iscriversi al campionato professionistico .

Per evitare il rischio di esclusione dal professionismo, il Comune di Brescia ha facilitato un accordo con Giuseppe Pasini, imprenditore proprietario della Feralpisalò. La proposta prevede il trasferimento della matricola gardesana al Rigamonti, mantenendo i colori biancazzurri per salvaguardare l’identità dei tifosi. In cambio, Pasini subentrerà nella gestione sportiva e infrastrutturale del club, con l’obiettivo di garantire continuità e sostenibilità.

Critici e osservatori hanno sottolineato come questa soluzione ponga più l’accento sulla mera sopravvivenza amministrativa che su un vero rilancio sportivo. Il rischio è che le profonde radici storiche del club si riducano a un marchio, mentre le vere responsabilità gestionali restano parzialmente irrisolte. La Feralpisalò si troverà ora a dover soddisfare le aspettative di risultati e allo stesso tempo supportare costi operativi significativi, in un contesto professionistico dove margini di errore sono minimi.

Messina-Sant’Agata

L’ACR Messina, retrocesso in Serie D, si trova in una situazione impossibile: una penalizzazione pesantissima per debiti e un’indebitamento tale da mettere a rischio la stessa iscrizione al torneo di quarta serie. Entro il 10 luglio, la società dovrà saldare o ridurre drasticamente una mole debitoria che appare incolmabile, pena il divieto di iscrizione e la cancellazione dal panorama calcistico.

Nel frattempo, il Città di Sant’Agata, appena retrocesso in Eccellenza, ha già presentato richiesta di trasferire il proprio titolo sportivo a Messina. Un’operazione studiata per garantire alla città peloritana un posto in Serie D in caso di fallimento dell’ACR Messina: la matricola dell’Agata subentrerebbe così all’ACR, aggirando penalizzazioni e ostacoli finanziari. Un escamotage amministrativo che mira a conservare il calcio cittadino, ma inverte le regole del merito sportivo.


Che cos’è rimasto del calcio giocato?

Se chi governa il calcio non riporta al centro del progetto la competizione leale e l’anima delle tifoserie, rischia di consegnare un gioco senza passione e privo di storia.

Serve un cambio di paradigma: il legame con la comunità non si costruisce solo con formule proprietarie, ma anche valorizzando strutture e pratiche che tutelino il patrimonio collettivo dei tifosi.

Prendendo spunto dal Regno Unito, dove gli stadi possono essere riconosciuti come “Assets of Community Value”, si potrebbe istituire anche in Italia lo status di “Bene di Valore d’Interesse Comunitario” per gli impianti sportivi e le sedi operative dei club. Questo riconoscimento impedirebbe che strutture simbolo della storia calcistica di una città vengano cedute o trasformate senza il coinvolgimento diretto della comunità locale. In Inghilterra, questo strumento ha consentito ai tifosi di intervenire concretamente per bloccare vendite improvvise e discutibili, garantendo continuità e identità territoriale alle squadre, anche nei momenti di crisi societaria. impedendo vendite o trasferimenti improvvisi senza l’interlocuzione con le associazioni di tifosi riconosciute. Allo stesso modo, i cosiddetti “supporters’ trusts” potrebbero avere un ruolo formale, attraverso accordi che prevedano il diritto di veto su operazioni societarie critiche o la partecipazione ad organi consultivi permanenti. Questo modello affianca l’attività del club, garantendo che le decisioni strategiche riflettano anche le esigenze e i valori della piazza.

Infine, non va dimenticato il terreno: le scuole calcio e i centri sportivi devono diventare luoghi di inclusione e formazione, supportati da fondi destinati esclusivamente a programmi giovanili. Solo assicurando a ogni bambino la possibilità di allenarsi e di sognare una carriera nel pallone, il calcio potrà riconquistare la sua dimensione popolare e ritrovare quel fermento genuino che nasce dalla competizione leale e dallo spirito di appartenenza.

Rispondi

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

In primo piano

Scopri di più da Albamaranto

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere