di Domenico Romeo per albamaranto.org

È il 12 Maggio 1985 e il calcio italiano vive un momento rivoluzionario: in una giornata fredda e per niente primaverile il Verona è campione d’Italia e sopra riportato è l’incipit iniziale del grande Paolo Valenti a 90° Minuto. La parola d’ordine di questo pezzo è, per l’appunto, umanità. Umanità, che diventa osmosi con serietà, sobrietà, umiltà e professionalità e che vanno a circoscrivere la figura di un frammento storico di quell’impresa rivoluzionaria del calcio: Gigi Sacchetti, reggino puro sangue, numero otto della compagine campione d’Italia. Una figura storica del nostro calcio che rende onore e prestigio alla nostra comunità cittadina nella considerazione che 1/23 di quel puzzle vincente (allenatore Bagnoli compreso) ha il timbro della nostra città. Una fetta di Reggio che batte nel cuore della città dell’amore per antonomasia. E c’é un filo di acciaio d’esistenza che unisce la sponda calabra dello Stretto al Veneto, sorretto da un uomo con radici ben salde, che non ha mai dimenticato la sua terra, che conserva quella scorza umana che lo ha portato a fare una scelta di vita ben precisa restando in una terra genuina e vera che lo accolto come un figlio. Ma Gigi è, soprattutto, un Campione d’Italia ed un campione d’Italia è per sempre. “Ma a Reggio lo sanno?“, ci chiede Gigi con la giusta ironia di chi, come noi, non riesce a capacitarsi come una figura così importante in termini di valori etici e sportivi non abbia goduto, fino al momento, di importanti riconoscimenti civici. Centrocampista duttile, classe 1958, per l’esattezza un mediano dotato di quantità, dinamismo e di un gran tiro da lontano che gli ha consentito di realizzare reti importanti sia in Italia che in Europa, oltre gli anni nel Verona annovera la militanza in maglie importanti quali la Fiorentina e la Nazionale di calcio under 20,21,23.

Lo incontriamo in una chiacchierata molto piacevole. Gigi si racconta.

1) Parliamo degli inizi. In quale realtà cittadina si è formato Gigi Sacchetti? – “Il mio primo campo da gioco è stato il piazzale antistante lo stadio Comunale di Reggio Calabria. Nelle adiacenze immediate mio padre aveva una barberia ed io approfittavo del tempo libero per giocare con gli amici nel piazzale. La voglia di giocare al calcio era tanta. La prima quadra a livello giovanile è stata la “juventina” guidata dal prof. Arcudi, poi approdai alla “Matteotti” che al tempo rappresentava un fiore all’occhiello per la città di Reggio. Questa realtà era guidata da due fuoriclasse del mondo calcistico giovanile: De Clario e Marchetti. Erano anni di spensieratezza giovanile, si immagini che riuscivamo anche a battere la Reggina giovanile e ciò accadde in una finale a Baia Domizia, in provincia di Caserta. Ma, in tutta onestà, devo tutto ad una figura per me determinante del mondo del calcio: Franco Scoglio. Fu lui che, a sedici anni, giovanissimo, mi volle nella Gioiese e fu lui che mi volle fare visionare da società blasonate del calibro di Roma e Juventus. Credeva in me fortemente. Difatti, all’interno della società Acf Fiorentina, Pandolfini mi volle in maglia viola con una strategia impensabile per me: mi girarono dapprima all’ Asti, poi, dopo una stagione mi sentìì dire:” Sei un giocatore della Fiorentina”. Non volevo crederci. L’ Asti, al tempo, era una società satellite della Fiorentina, tant’è che anche Giancarlo Antognoni si è formato presso quella società. Mi avevano mandato lì per farmi le ossa, ma io non lo avevo realmente capito”.

2) Alla Reggina ha cercato di fare qualche provino da giovane? Ha avuto contatti, al tempo, con la società amaranto? – “Mai cercato dalla Reggina e mai fatto con la Reggina un provino. Eppure, guardi, io vivendo, di fatto, quasi di fronte lo stadio sono stato sempre un tifoso della Reggina. Il periodo dell’epopea Granillo l’ho vissuto con molta trepidazione, non mi perdevo una partita della Reggina, scavalcavo per potere entrare allo stadio e assistere alla partita. Se lei mi dovesse chiedere le formazioni di quel periodo me le ricordo benissimo ancora e sarei in grado di elencare tutti i calciatori. Ma le cose sono andate così nel mio cammino da calciatore, lo dico molto serenamente”.

3) Eravamo rimasti a Firenze. Ci parli di questa sua esperienza. – “Firenze rappresenta la mia formazione completa, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista da calciatore. Sono stato dal 1976 al 1982, un periodo ed una tappa importante della mia vita, credevo e avevo voglia di restare ancora. Ho giocato con calciatori importanti, ho vissuto in una città bellissima, conservo ricordi unici, sono cresciuto anche dal punto di vista culturale”.

4) Si, ma poi venne Verona dove vinse uno scudetto. Ce lo racconti. -“Certo. Ma lei lo sa che a Verona inizialmente ci andai malvolentieri? E’ incredibile, non ero felice inizialmente di questo trasferimento. Poi incontrai specifici calciatori, altri campioni che già conoscevo, che mi aiutarono ad ambientarmi e presto Verona divenne casa mia. Mi resi conto subito che il progetto Hellas Verona era davvero serio e partiva da lontano. Lo scudetto è stato figlio di un lavoro costruito nel tempo, già quando arrivai, nel 1982, eravamo in coppa Uefa dove soggiornammo fino al 1984. Due campionati di fila in Europa significava tanto, l’anno in cui la Roma vinse lo scudetto (stagione 1982/1983) arrivammo quarti, oggi se arrivi quarto vai in Champions, pensi un po’. Nel medesimo anno perdemmo la finale di coppa Italia contro la Juve in una sfortunata gara di ritorno al Comunale di Torino, a fronte di una vittoria netta fatta all’andata. Dopo questi campionati importanti l’ossatura della squadra era già formata, mancavano però tasselli importanti per potere puntare davvero in alto: fu così che la proprietà, con grande bravura e intuizione, individuò in due stranieri, Briegel e Elkjaer, i punti cardini di svolta che avrebbero potuto farci fare il salto di qualità. E così fu, difatti. Venne lo scudetto e poi l’approdo in coppa dei campioni, l’esordio mio e del Verona nella massima partecipazione Europea di calcio”.

5) Come squadra come avete fatto, dal punto di vista emotivo, a gestire una stagione viaggiando sempre primi seppur definiti dall’opinione pubblica, quasi fino alla fine, una meteora pronta ad implodere?Emotivamente vivevamo tutto molto bene, con molta leggerezza, seppur consapevoli della disillusione altrui. Da un lato sapevamo che prima o poi la sconfitta sarebbe arrivata, ma dall’altra ci divertivamo a leggere buona parte della stampa che ci dava per spacciati in maniera sicura in determinate partite ancora da affrontare e che le sconfitte contro le grandi prima o poi ci avrebbero fatto crollare. Ma intanto questo non avveniva mai. Contro ogni grande non si perdeva mai e contro le ipotetiche contendenti si vinceva ugualmente. Si innescano, così, meccanismi di decisa autoconsapevolezza che aprono a sfide interiori che fungono da molla mentale. La svolta, probabilmente, avvenne proprio a capodanno 1985, quindi quattro mesi prima la fine del campionato di calcio ad inizio girone di ritorno, quando, tutti quanti a cena, ci guardammo in faccia e parlando tra noi sprigionavamo consapevolezza di quello che stavamo facendo. In primavera poi, a quattro, cinque giornate dalla fine, ci convincemmo che ormai era praticamente fatta”.

6) Poi venne Catanzaro. Un ritorno in Calabria, ma con una maglia diversa da quella amaranto…A Catanzaro, sul finire degli anni ottanta, venivo da una rottura di ginocchio che aveva spinto il Verona a sostituirmi credendo che non potessi più giocare al calcio. Mi ritengo fortunato, comunque: Rocca, l’ex calciatore della Roma, per il mio stesso infortunio ha appeso le scarpe al chiodo, io invece sono riuscito a tirare qualche anno. Ma a Catanzaro, purtroppo, ebbi ripercussioni fisiche non indifferenti. Quella stagione giocai contro la Reggina sia al Ceravolo che al vecchio Comunale, la mia era un’alternanza fra panchina e campo da calcio. La società giallorossa mi diede fiducia concedendomi un triennale, ma io per correttezza, dopo un anno comunicai che non ero più in condizioni di rendere al meglio, non volevo prendere in giro nessuno, mi considero una persona corretta. Rimasi dispiaciuto perché, inizialmente, contento di rientrare nella mia terra, credevo molto in quell’esperienza nuova in cadetteria”.

7) Facciamo un viaggio a ritroso nel tempo prendendo spunto da due squadre a lei care: il Verona e la Reggina. Bene. Nel 2001 le due compagini si affrontarono in uno spareggio per restare in Serie A in cui, allo scadere, ebbe la meglio il Verona. Il punto è questo: entrambe le compagini avevano un organico composto da calciatori di un livello molto alto (Taibi, Cozza, Mezzano, Dionigi, Vargas, Mozart, Marazzina, da una parte, e Camoranesi, Gilardino, Ferron, Oddo, Italiano, Adailton dall’altra). Analizzando ciò in un riflesso temporale lungo oltre vent’anni, a suo avviso, come è possibile che due organici del genere, in cui spiccano futuri campioni del mondo oltretutto, si siano potuti giocare la salvezza? Ad oggi come li vedrebbe calati nel contesto attuale? – “La ricordo bene quella partita finale, furono in totale due incontri molto equilibrati nella sostanza, risolti da un gol di Cossato per il Verona sul finale di gara nella partita di ritorno. Vi è da dire pure una cosa: il livello del calcio si è anche notevolmente abbassato e gli organici di Reggina e Verona del 2001 oggi viaggerebbero in dimensioni di classifica completamente differenti. Vede, il calcio nel corso del tempo è cambiato tantissimo. C’é differenza fra il calcio di ieri e quello di oggi su tanti fronti e non solo su quello giocato. A Verona, ad esempio, io ho visto iniziare gente come Pippo Inzaghi, Mutu, Gilardino e tanti altri, una cosa che oggi probabilmente sarebbe difficile perché, grazie ai magnati che posseggono le grosse società, questi calciatori sarebbero stati subito indirizzati nei loro club dall’elevata potenza economica. Ecco perché le squadre provinciali devono lavorare e curare molto il settore giovanile, perché i giovani rappresentano il futuro e le posso garantire che nei settori giovanili si trovano davvero ragazzi bravi e promettenti che possono diventare campioni. Che il livello si è abbassato lo si nota anche dalla qualità degli stranieri presenti in campo. Nell’anno in cui io ho vinto lo scudetto con il Verona gli stranieri potevano essere massimo due e questo comportava una certa cernita, una selezione tecnica non indifferente. Un esempio? L’Inter presentava Rumenigge e Brady, la Roma Falcao e Cerezo, la Fiorentina presentava Passarella e Socrates, il Torino un certo Junior con un certo Schachner, il Milan Hateley e Wilkins e dulcis in fundo: il Napoli presentava Maradona e Bertoni. Ma non solo, anche le cosiddette “provinciali” erano attrezzate bene e dotate di stranieri di un livello molto alto. Il Pisa, di Romeo Anconetani, nella stagione precedente al nostro scudetto, retrocedeva incredibilmente con gente del tipo Berggreen e Kieft, l’Ascoli di Costantino Rozzi invece, nell’anno del nostro scudetto, non riusciva a salvarsi con fior di calciatori quali Dirceu ed Hernandez e, qualche anno prima, presentava in squadra Juary. Gente di un determinato calibro che innalzava il livello. Oggi su dieci stranieri in campo ne trovi buoni uno, massimo due, gli altri fanno numero, non sono di un livello superiore agli altri compagni di squadra. È un dato di fatto”.

8) Perché Gigi Sacchetti non è rimasto non mondo del calcio? In realtà ho provato ad allenare, ma come detto prima, il calcio è cambiato in determinati aspetti e non ho ritenuto opportuno scendere a certi compromessi. Sono rimasto comunque a Verona, città che considero casa mia come Reggio Calabria, qui ho vissuto inizialmente dai 24 anni ai 31 anni, ho costruito il mio avvenire, il mio futuro, Verona mi ha dato tanto e mi dà tanto ancora, amo questa città a mia dimensione. Mi occupo di brokeraggio assicurativo all’interno di un gruppo industriale molto solido”.

9) In questi anni è tornato a Reggio Calabria? Ci viene ogni tanto? – “Certamente, ci sono sempre tornato a Reggio da quando sono andato via. Quando vivevano i miei genitori venivo sia nel periodo natalizio che in estate, adesso vengo solo in estate. Come non tornare nel posto più bello d’Italia? Reggio è un posto magnifico, non è solo la mia città dove ho radici ed amici, ma è il luogo più bello che ci sia. Ed è sempre un grande piacere sentire con affetto gente della mia città nei periodi dell’anno in cui sto a Verona”.

10) Non ha mai avuto intenzione di proseguire un progetto calcistico nella sua città? – “No, perché come le dicevo, la Reggina non mi ha mai cercato da giovane, negli anni dopo che ho vinto lo scudetto, figuriamoci con il passare del tempo. E poi, vivendo a Verona per lungo tempo, ho costruito la mia vita qui comprendendo anche che potevo realizzare un’alternativa professionale al calcio in questa splendida città.”

11) Restando in tema di Reggina. Ci si ritrova, dopo due fallimenti in dieci anni, a ripartire dalla Serie D. A suo avviso, cosa servirebbe per rilanciare in maniera decisa le sorti del club per rivedere il nome Reggina in categorie che spetterebbero? – “Come in tutte le cose della vita servono progetti e per avere progetti serve una società che un progetto lo abbia. Ma solido. Nel calcio vanno avanti le strutture societarie che non improvvisano, ma che hanno un disegno ben definito, gli avventurieri prima o poi si fermano. Reggio Calabria non può e non deve restare in questa categoria, non rispecchia la sua storia e il suo blasone nella maniera più assoluta, non scherziamo, signori, la Reggina deve tornare minimo in serie B. È ovvio che questa società attuale va aiutata e supportata per il compito che ha abbracciato e capisco pure, da reggino, che Reggio non è una piazza facile perché molto incline alla critica verso chicchessia. Ricordo quando si criticava Lillo Foti, persona che è riuscita a far dare seria considerazione alla Reggina nel calcio che conta per tanto tempo e a fare incentrare rispetto, prestigio alla storia del club anche a livello internazionale. Ritengo, dunque, che la piazza a Reggio vada educata sotto questo aspetto”.

12) In ultima analisi. Nel 2025, fra qualche mese, il Verona compie quarant’anni da quella magnifica impresa e in pari anno si potrebbe realizzare un sincronismo storico incredibile: l’Atalanta, attualmente prima, altra provinciale, potrebbe ripetere la vostra medesima impresa dopo quarant’anni esatti. Ritiene sia una cosa possibile? – “Guardi, intanto, per orgoglio, le dico che al momento il mio Verona campione d’Italia è ad oggi ancora l’unica squadra di una città non capoluogo di Regione che ha vinto lo scudetto. Mi lasci ostentare questo record che ci appartiene ancora. Io vedo l’Atalanta molto bene, mi piace molto come gioca, conosco Gasperini e l’unico dubbio che intravedo in prospettiva futura è l’aspetto fisico della squadra nel periodo tra febbraio e marzo. Penso che solo a partire da quei mesi potremmo avere un quadro più completo su come possa finire questo campionato di Serie A. Ma il successo dell’Atalanta, ad ogni buon conto e indipendentemente da come andrà a finire, è un monito anche e soprattutto per la Reggina stessa, oltre che per tutte le altre squadre di calcio stratificate in ogni categoria. Chi lavora bene può vincere, ecco il messaggio che anche a Reggio devono recepire, perché quando curi i settori giovanili in una certa maniera puoi solo fare bene prima o poi. E questa regola vale per tutto il mondo di calcio, dalle categorie inferiori alla Serie A”.

*

Vecchie favole di un’epoca un po’ più in là, i colori di un’età…”, recita l’iconica “Verona beat” e quella di Gigi è davvero una favola costruita con il silenzio, con la semplicità di anni che schiudeva una gioventù figlia del proprio tempio, con il talento e fondata sulla cultura del lavoro e dell’abnegazione, finalizzata alla costruzione di un percorso di vita importante, partendo da un cortile spensierato che spalancava la vista allo stadio di Reggio Calabria, alla coppa dei campioni. Ci auguriamo che la figura di un uomo perbene come Gigi Sacchetti possa fungere da esempio non solo alle generazioni future, ma sia da monito a determinate autorità sportive e politiche della città al fine di assegnare un serio riconoscimento alla carriera e alle qualità morali indiscusse del nostro concittadino già campione d’Italia. Chiudo questo pezzo con una personale riflessione: sono stati consegnati in città, in un recente passato, riconoscimenti morali dall’importante portata civile, rivelatisi alquanto affrettati, a soggetti che, con il tempo, hanno disatteso qualità morali, suscitando anche un certo imbarazzo in sede istituzionale a coloro i quali, in tutta buona fede, si erano precipitati ad omaggiarli in forma miope. Non sarebbe opportuno guardarsi attorno e premiare soggetti cresciuti in casa nostra, detentori di carature morali e che hanno portato lustro alla nostra città come il nostro concittadino Gigi Sacchetti? Sarebbe ora. È una speranza che lanciamo, vediamo chi, in sede istituzionale, è capace di raccoglierla e renderla concreta. Al fine della realizzazione della presente intervista, si ringrazia il Direttore Responsabile della testata “Tutto Hellas Verona”, Enrico Brigi.

Domenico Romeo

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