Sono trascorsi 25 lunghissimi anni ma quel giorno resta nella mente di tutti coloro che amano i colori amaranto
Pietro veniva da Como con la sua Tipo grigia ed io l’aspettavo al bar “Benedetta” nei pressi della Stazione ferroviaria di Milano Rogoredo, sede del Reggina Club Elvy Pianca che tutti i residenti a Milano e Provincia (e non solo) conoscevano bene perché io e Paolo Romeo facevamo “vedere” le partire della nostra Beneamata. Erano le 10 di mattina e non faceva ancora caldissimo ma io sudavo per il nervosismo, per l’eccitazione dell’attesa, per la tensione che mi ero procurato da una lettura veloce di un noto quotidiano sportivo che recitava: “Reggina ad un passo dal sogno”. Le corna e le toccatine alle parti intime si sprecarono durante quella mattinata e fintantoché non imboccammo la tangenziale direzione Torino con le sciarpette amaranto al collo. L’autostrada da Milano a Torino era piena come si fosse in una normale giornata lavorativa. Eppure era domenica. L’autovettura di Piero era datata ma affidabile e pareva volasse tanto che in un’ora e mezza fummo al Delle Alpi, un vero obbrobrio di struttura incastonato in mezzo ad una campagna maleodorante di sterco di vacca. Mio padre arrivava da Genova e l’appuntamento era all’ingresso del settore dei tifosi della Reggina: sarebbe stato come cercare un ago nel pagliaio e meno male che qualcuno aveva inventato il telefonino altrimenti non sarei riuscito a “scorgerlo” in mezzo a quella marea amaranto e granata. Eccolo, entriamo. Salendo gli scalini del secondo anello incontrai mio cugino Pino che ci fece da Cicerone. Eccoli, quattro posti liberi, gli ultimi, giusto al centro e con una visuale quasi perfetta. Pronti via in un frastuono assordante, una vera bolgia infernale. E ci pensò Cozza a portare in vantaggio la Reggina con un rigore molto magnanimo concesso dall’arbitro. Cuore nello zucchero, eravamo in A! Ma qualche minuto dopo ci pensò Ferrante a rispedirci nella realtà con il suo ventisettesimo sigillo in campionato: una tra Lecce e Pescara possono coronare il loro sogno mentre noi subiamo l’ennesima delusione. Ma non sarebbe potuto finire così, e che cribbio, non doveva! E allora ecco partire una palla all’indirizzo di Possanzini che di tacco porge come su un piatto d’argento a Tonino Martino il quale chiude gli occhi e calcia: siamo in A, il Toro lo è già e non gliene frega niente, vuol fare solo festa!!! E che la festa abbia inizio anche (e soprattutto) per i ventimila reggini accorsi al Delle Alpi per coronare un sogno a dieci anni esatti dalla delusione di Pescara. Era Serie A, non era più una semplice chimera. No. Era tutto vero. Mi ricordo che da bambinetto chiesi “Papà quando sale in A la Reggina?” ed il mio genitore, tifoso sfegatato da sempre (dai tempi di Fulvio Bernardini figuratevi!), mi rispose “Nel 2000 forse ma prima o poi ‘nchjanamu, cu sapi…” Il sogno era diventato realtà esattamente sei mesi prima del previsto, il 13 giugno 1999: Don Natalino Condemi ci aveva visto lungo, ci aveva sperato, aveva anelato la Serie A da quando era nato. Ed eccola, servita calda calda da Lillo Foti, il Presidentissimo. Sono trascorsi 25 anni da quel giorno magnifico, bellissimo e indimenticabile. E ne è passata di acqua sotto i ponti da quel giorno di 25 anni fa. Da allora due fallimenti, qualche anno di anonima Lega Pro e poi l’arrivo di gente senza scrupoli le cui “gesta” è meglio non rivangare altrimenti la puzza di feci si espande in ogni dove. Godiamoci questa giornata consapevoli che al peggio non c’è mai fine ma altrettanto consci che i nuvoloni sopra la testa dei tifosi amaranto (quelli veri, sanguigni, che mettono da parte gli interessi personali, che non usano la Reggina per meri scopi politici e, infine, che amano i colori che rappresentano Reggio Calabria a prescindere) si possano diradare prima o poi. Solo così potremo vivere tanti altri compleanni come il 13 giugno







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