Qualcuno parla di trasformazione in atto senza sapere il vero significato di questa parola. La Reggina deve andar via da questa categoria: lo impongono il blasone e la storia

Dopo il “venir meno” della (vecchia e cara) C2, la Serie D è divenuta il quarto livello del calcio italiano assumendo – solo nei propositi – un’importanza vitale e significativa soprattutto in tema di lancio delle giovani leve verso platee più importanti. Tutto ciò sarebbe auspicabile ma in fondo in fondo, tutto è come avvolto da una cortina di nebbia. È vero: oggi possiamo concretamente parlare di “quarta serie” quale anticamera del professionismo ma di “vero dilettantismo” c’è davvero poco e quel poco è lasciato al caso, spesso abbandonato a sé stesso.
Nel girone meridionale ci sono società come Siracusa, Vibonese e (soprattutto) Trapani che hanno speso centinaia di migliaia di euro per allestire compagini accaparrandosi i “migliori pezzi” in circolazione tra la terza serie (quella che si chiamava Lega Pro) e la quarta (Serie D) e spacchettando, di fatto, il campionato in tre distinte parti. Nella prima troviamo le tre in questione che sfrecciano veloci verso il traguardo che, in ogni caso, spetta ad una sola di esse. Poi c’è il troncone di “mezzo” formato – attualmente – da Casalnuovo, Reggio Calabria, Ragusa, Licata e Città di Sant’Agata alla ricerca del prestigioso quanto inutile piazzamento playoff che potrebbe – però – spalancare le porte di un ipotetico ripescaggio. E per finire le altre, quelle squadre (per inciso) che si accontentano della “risicata” salvezza quale obiettivo principale.
Insomma, rispetto a otto anni fa, è cambiato tanto e poco nello stesso tempo. È mutato – al limite – il modo di stare in campo con l’imposizione dei “quattro under” (un 2003, due 2004 ed un 2005) salvo poi “abbassarla” a tre con un 2004, un 2005 ed un 2006 dal prossimo campionato (2024/2025) ed un 2005, un 2006 ed un 2007 per quello immediatamente successivo (2025/2026). Ma questo provvedimento che apparrebbe “epocale”, si è – invero – rivelato e continuerà a rivelarsi anonimo, insulso, vano e parziale, giacché offre pochissimi e significativi miglioramenti anche perché i “giovani di lega” vanno a prender posto tra i pali nonché sulle fasce sia alte che basse quando, nella maggior parte dei casi, il gioco si sviluppa attraverso i soliti lanci lunghi dei difensori centrali verso gli attaccanti perché meno dispendioso e più “solito” in una categoria dove la tecnica e la qualità è merce rara e dove lo spettacolo è sconosciuto, salvo rarissimi casi.
Più che di “americanate”, la quarta serie avrebbe bisogno di maggiore visibilità e di maggiore partecipazione. In altre parole, ci vorrebbe un vero allargamento dei campionati giovanili nazionali includendo le società di Serie D (alias Primavera/4 a livello interregionale) e la partecipazione alla Coppa Italia come succede in altre nazioni. Questa – e nessun’altra – sarebbe la rivoluzione epocale che tutti attendiamo da illo tempore e che trasformerebbe “davvero” – e forse radicalmente – l’intero comparto calcistico italiano.
A proposito di ciò, i tifosi de La Fenice Amaranto che noi (forse testardamente) continuiamo a chiamarla Reggina, auspicano che si abbandoni al più presto questa categoria che non c’entra davvero nulla con il suo blasone, la sua importanza, la sua storia e – perché no – la sua identità. Lo sappiamo, è tremendamente difficile: sarebbe come scalare l’Everest, attraversare l’oceano, circumnavigare l’equatore… La famiglia Ballarino che si è presa questa immane responsabilità ha l’obbligo – non solo morale – di centrare l’obiettivo già da quest’anno, nei prossimi mesi, prima che sia troppo tardi. La Reggina è a ormai ad una distanza siderale dalle tre battistrada e quindi sarebbe da pazzi pensare di raggiungerle. Ma la società che deve al più presto cambiare denominazione – riappropriandosi del marchio e del logo – possiede un’arma letale che può tentare di sbaragliare la concorrenza. Quale? Il blasone, l’importanza, la storia e l’identità. Come? Il mercato è aperto, apertissimo. E qui ci stoppiamo per il rispetto dei ruoli. Buon lavoro








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