Col Trapani abbiamo ammirato i migliori venti minuti amaranto. Ma sotto porta la compagine di Trocini non è incisiva

Non vogliamo criticare nessuno e lungi da noi farlo. La nostra rimane una semplice constatazione attenendoci – tutt’al più – a quanto espresso dalla Curva Sud al termine delle sconfitte con Sant’Agata e Trapani nel breve volgere di nove giorni. Quel “Ci meritiamo di più” è come uno schiaffo in pieno volto ed un ammonimento dal significato unico e categorico. Quel coro, frutto della rabbia, della delusione e della sfiducia, è sinonimo di “Noi siamo Reggio Calabria” che racchiude tutto nonostante si sappia che Reggio rappresenta il fanalino di coda per la qualità della vita, dove per lavorare si è costretti ad emigrare, dove il tutto e il niente hanno quasi lo stesso significato, dove la politica è clientelismo, dove si è costretti a fare a sportellate per rivendicare i propri diritti. Reggio, però, è quella città in cui si piange quando la si incontra e quando la si lascia perché ha quel “non so” che ammalia, che affascina, che seduce, che rapisce. Reggio si fa amare con tutta l’anima, come e meglio di una madre, come e meglio di un’amante. Reggio vive di ricordi ed il reggino attempato – vivaddio – ne ha ben donde rinverdendo i tempi in cui era chiamata la “bomboniera d’Italia”, quando le strade erano pulite e senza voragini e le aiuole ben curate. E, sportivamente, quando Jacoboni infrangeva tutti i record d’imbattibilità, quando Enzo batteva le punizioni a quasi 120 chilometri orari, quando Maestrelli conquistava la B con Valsecchi, Alaimo e Camozzi, quando Florio deliziava con le sue invenzioni, quando Pianca strabiliava con la sua qualità e la sua pelliccia. E tanto tantissimo ancora. E poi i primi anni 2000, quelli della Serie A che hanno conferito lustro e prestigio a tutto l’ambiente per cui, quando si parla di Reggina, c’è un blasone e una nobiltà da difendere, diffondere e sbandierare. Anche – e soprattutto – in Serie D dove La Fenice Amaranto ha preso il posto di quella Reggina che ha sempre – e sottolineiamo “sempre” – fatto tremare chiunque. La società della famiglia Ballarino – che i reggini non amano eccessivamente perché non esprime la vera e radicale regginità che li ha identificati nei secoli – ha delle scusanti che non devono trasformarsi in alibi. Ci spieghiamo meglio. Questa società, come risaputo, ha dovuto fare i conti col poco tempo a disposizione riuscendo però a mandare in campo una formazione “messa su” da Maurizio Pellegrino e Pippo Bonanno i quali – ad ogni buon conto – hanno commesso alcuni grossolani errori di valutazione. Se è vero quel che può essere vero, DS e DT non hanno ingaggiato una mente arguta capace di distribuire palloni giocabili da affiancare a Nino Barillà (il Mungo visto finora è stato una delusione); non hanno “preso” un attaccante forte (ma forte veramente) con il compito di sfondare le reti avversarie; hanno preferito dei 2002 di primo pelo che hanno giocato sporadicamente oppure nelle Giovanili di appartenenza (Kremenovic, Parodi, Bianco, Aquino e Marras per fare degli esempi) al posto di elementi agonisticamente cattivi, sgamati e avvezzi a fare a sportellate sui campetti di periferia. C’è però da applaudire questi ragazzi che, seppur gettati nella fossa dei leoni, hanno dato sempre il massimo sputando sangue dal primo all’ultimo minuto di tutte le gare. La distanza tra La Fenice Amaranto e il terzetto di testa è quindi ragionevolmente plausibile ed ammissibile e – in fondo – non ci si poteva attendere di più vista la tempistica e le norme cervellotiche adottate dal “Palazzo”; resta pur sempre una piccola e flebile fiammella in quanto il campionato non è ancora finito e tutti (tutti vuol dire tutto l’ambiente) ci devono credere. È vero: gli amaranto hanno perso troppo terreno mentre le altre continuano a correre ad una velocità impressionante ma “mai dire mai” perché sarebbe stupido e scellerato issare bandiera bianca già dopo 10 giornate giocate dalla squadra di Trocini a ritmi impensabili, improponibili e disumani. Tutto questo però – lo ribadiamo e lo riaffermeremo fino allo svilimento – non deve essere preso a pretesto per trasformarsi in alibi. Sappiamo e lo sapevamo dall’inizio che sarebbe stato un torneo massacrante, deprimente, sconvolgente e mai stucchevole. Così come non avremmo mai voluto ammettere che tra la “Nuova Reggina” ed il Trapani ci potesse essere addirittura una categoria di differenza e che in una sconfitta (quasi) netta, avremmo potuto assistere ai migliori venti minuti giocati dalla squadra di Trocini. E constatare che questa squadra è fagliante di un attaccante da 15 gol all’anno, di gente sgamata (che faccia sentire i tacchetti sulle caviglie degli avversari), di giovani sotto i 20 anni che sappiano giocare da “grandi” e di una “mente illuminata” che sappia dettare i tempi alla compagine amaranto







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