Cinquantaquattro anni fa, in occasione di Reggina-Spal si pianse la morte di Pozzo. Sabato prossimo quella di Gianluca Vialli
di Giuseppe Criaco
Sabato prossimo arriva al Granillo la Spal di Daniele De Rossi. La prima volta al Comunale per le due squadre fù il 22 dicembre 1968. Con Oreste Granillo Presidente di quella Reggina ed Armando Segato in panchina. Era la Reggina di Rosario Sbano e di Vallongo, ma anche di Toschi e di un giovanissimo Franco Causio, di Iacoboni e di Nedo Sonetti. Finì uno a uno, con reti di Vallongo (saranno undici le realizzazioni del bomber amaranto in quell’anno) e pareggio di Parola per la Spal.
La Reggina alla fine del campionato raggiunse un onorevole quinto posto, sfiorando la serie A per soli tre punti. Promozione che invece fu conquistata da Lazio, Brescia e Bari. Quello della Reggina non fu un campionato scoppiettante, anzi, il cammino degli amaranto fu abbastanza regolare (saranno 18 i pareggi alla fine), ma senza picchi, senza stravolgimenti, sempre assestata tra il 4 ed il 7 posto.


Ma quella domenica una notizia apriva tutte le pagine sportive dei quotidiani e non solo: l’Italia piangeva la morte di Vittorio Pozzo il leggendario commissario tecnico della nazionale degli anni trenta.
Vittorio Pozzo, fino ad allora, era stato l’unico c.t. che aveva portato l’Italia del calcio sul tetto del mondo. Nel 1934 e nel 1938. Ma con gli azzurri aveva vinto anche un’Olimpiade e due coppe Internazionali (antesignane della Coppa Europa).
Pozzo attraversò due epoche, era nato nel 1886 e le prime fortune calcistiche le ebbe in Svizzera, nei primi del’900.
Siamo agli albori del calcio in Italia, appena cinque o sei le squadre di calcio esistenti (per come le conosciamo oggi), con il Genoa CFC (Cricket Football Club) del 1893, la Juventus del 1897, il Milan del 1899 e la Lazio del 1900. L’Inter arriverà nel 1908. Vittorio Pozzo, invece, sarà tra i fondatori (e giocatore) nel 1911 del Torino Football Club.

In Inghilterra il calcio ha ormai una grande diffusione raggiungendo il suo zenith nel 1925 con il cosiddetto “Sistema di Chapman” con il suo 3-2-2-3 meglio illustrato con due lettere WM. Pozzo invece fu un ostinato seguace del Metodo (2-3-2-3) che portava al suo interno il contropiede, al contrario del Sistema antesignano dell’attuale possesso palla.
Tutta la carriera di commissario tecnico della nazionale (ed i suoi trionfi) la srotolò durante il ventennio fascista, tanto che non pochi additarono Vittorio Pozzo di essere egli stesso un fascista. Non era vero, era solo un uomo del suo tempo, e la definizione più bella di questo operoso piemontese la diede Giorgio Bocca definendolo “un piemontese risorgimentale per il quale la parola sacra era “el travai”: il lavoro.
Insomma Vittorio Pozzo fu semplicemente un italiano che amava il suo paese. Le cronache ci raccontano che fu proprio Pozzo, da buon alpino, ad ideare i ritiri montani per le squadre di calcio. Lasciò la nazionale ed il calcio giocato nel dopoguerra, nel ’48. Superato dai tempi.
Memorabile, di Mario Sconcerti, quella che potrebbe essere la metafora finale della vita calcistica di Vittorio Pozzo “Il tempo accelera e ti finisce davanti E (tu ti accorgi che nds) non è più il tuo tempo”. Noi però preferiamo ricordarlo con le parole di Gino Palumbo sul suo “coccodrillo” (testo scritto per il commiato di una persona importante) apparso sul Corriere della Sera di domenica 22 dicembre1968. Appunto.
“Gli sconvolgimenti della guerra determinarono il declino del calcio italiano. Ma all’origine di quel declino non vi fu l’incapacità del tecnico ad adattarsi alle nuove formule; vi fu l’incapacità dell’uomo di accettare l’ambiente che dalla guerra era nato”.
Sabato prossimo Reggina e Spal torneranno ad affrontarsi, ed anche oggi, come allora, tutto il calcio mondiale piange un’altra leggenda: Gianluca Vialli.









Rispondi